Centro Culturale Livia Bottardi Milani

L’area archeologica di San Lorenzo

L’area archeologica di San Lorenzo

L’area che circonda la pieve di San Lorenzo si è rivelata sin dai secoli scorsi ricca di testimonianze archeologiche risalenti ad un arco cronologico che va dal II sec. a.C. al V-VI sec. d.C. Molti reperti venuti fortuitamente alla luce nella seconda metà dell’800 vennero raccolti dal dott. Alessandro Nizzoli, primo sindaco di Pegognaga. Il frutto di questa benemerita attività di recupero è stato donato dagli eredi Bonatti Nizzoli nel 1990 e 1993 al Comune di Pegognaga e costituisce oggi la Collezione civica.

Lo studio dei materiali e le indagini condotte negli ultimi decenni permettono di ipotizzare che nell’area di San Lorenzo sorgesse in età romana un modesto vicus, di cui ignoriamo il nome, sorto nelle adiacenze del Po, che in epoca antica scorreva più a sud del corso attuale; sull’asse fluviale si sviluppò un piccolo emporio a metà strada tra i centri di Brixellum (Brescello) e Hostilia (Ostiglia). Non si esclude inoltre che a Pegognaga attraversasse il Po la strada che congiungeva Modena a Mantova.
Accanto a edifici di carattere residenziale (testimoniati da frammenti di pavimentazioni e intonaci parietali) nell’area di San Lorenzo trovavano posto anche attività commerciali e produttive.

Numerosi reperti sono stati portati alla luce nei pressi dell’attuale cimitero, sia durante i lavori di costruzione nel 1816 che in occasione di ulteriori scavi eseguiti nel 1884. Sempre nei pressi del cimitero venne scoperto nel 1876 il capitello dedicato al fiume Po. Altri ritrovamenti vennero effettuati nel 1879-1880 quando fu realizzata la strada Falconiera che attraversa l’area di San Lorenzo. Le ricerche sono state riprese solo negli anni 1970-80 grazie all’intervento di un’associazione locale che ha raccolto i materiali portati alla luce durante i lavori agricoli; ricognizioni di superficie hanno rivelato che l’area interessata dagli affioramenti di materiale archeologico occupa una notevole estensione di circa 60.000 mq. Negli anni ’90 sono stati eseguiti saggi di scavo ad opera della Soprintendenza Archeologica della Lombardia che hanno portato alla luce fondazioni di un edificio romano e resti di pilastri pertinenti a un portico o una tettoia.

I metalli: gli utensili,
l’arredo, la suppellettile domestica

I metalli: gli utensili, l’arredo, la suppellettile…

Nell’area di San Lorenzo sono stati rinvenuti numerosi manufatti in metallo, prevalentemente bronzei, databili in gran parte ai primi due secoli dell’impero.
Il bronzo trovava numerosi impieghi nelle case romane di un certo livello. I mobili in legno come casse, scrigni o tavole, potevano essere decorati da borchie, applique o guarnizioni in metallo. Di pregio era anche il vasellame o la suppellettile in bronzo a cui appartengono gli attacchi di ansa, i manici, i piedini o i ganci e le catenelle per appendere le lucerne rinvenuti a San Lorenzo. Numerosi erano anche gli utensili quotidiani realizzati non solo in bronzo, ma anche in ferro e piombo: bilance, pesi, chiavi, stili per scrivere sulle tavolette cerate, strumenti di uso medico, coltelli. Non mancano a San Lorenzo le armi come la punta di giavellotto o la ghianda missile.

Attingitoio (simpulum) in bronzo (da Metalware in the Royal Ontario Museum).
Patera con manico a testa di ariete rinvenuta a Pompei (da Homo faber).

I simpula erano mescoli dal lungo manico utilizzati per attingere bevande da grandi recipienti e potevano avere una terminazione lenticolare usata talvolta anche come colatoio, come il frammento forato rinvenuto a San Lorenzo, oppure variamente configurata. Le teste di cigno ad esempio si trovavano all’estremità di attingitoi, ma anche nei manici mobili di vasi bronzei o nelle maniglie. Si utilizzavano spesso elementi tratti dal mondo vegetale o animale per decorare il vasellame metallico, come il manico di patera con testa di ariete o quello di coppa con protomi di cigno.
La gran parte delle chiavi in bronzo e ferro rinvenute a San Lorenzo veniva utilizzata con un sistema di chiusura a scorrimento, il più antico e diffuso; in esso la chiave veniva girata in modo che i denti ruotassero verso l’alto e si incastrassero nella stanghetta di chiusura, spostandola in avanti o indietro per aprire o serrare la porta. Solo una delle chiavi esposte era destinata ad un sistema a rotazione o mandata, simile a quello usato ancora oggi.
Alcuni piccoli strumenti, come sonde, spatole o pinzette, potevano essere utilizzati in ambito medico e chirurgico, ma anche per l’igiene personale.

I metalli: la piccola plastica, l’abbigliamento, …

I metalli: la piccola plastica, l’abbigliamento, la cura del corpo

Per la maggior parte dei reperti metallici rinvenuti a San Lorenzo è ragionevole ipotizzare una produzione norditalica, soprattutto per gli oggetti di carattere prevalentemente funzionale.
Nel mondo antico i bronzetti realizzati a fusione erano molto diffusi e raffiguravano prevalentemente divinità; talvolta erano collocati nel larario, l’edicola riservata ai numi tutelari della casa, e denotavano la devozione del proprietario per una particolare divinità. Tra i reperti rinvenuti a San Lorenzo spicca la statuetta di Iuppiter (Giove) che rientra nella produzione norditalica di buona qualità e che oltre ad essere manifestazione di culto religioso rappresentava anche un bene di prestigio.

 
Il bronzo era spesso usato per realizzare parti dell’abbigliamento o oggetti di ornamento personale sia maschile che femminile come fibbie, spilloni, bracciali, orecchini e fibule, fermagli che servivano per fermare i lembi o le pieghe dei vestiti. Anche alcuni manufatti destinati alla toelette e alla cura del corpo come gli specchi erano prodotti in metallo.

Specchi in metallo con corona di forellini lungo il margine.

 

Il bronzetto di Iuppiter raffigura la massima divinità del pantheon romano in posizione stante, con il braccio destro, spezzato, che doveva reggere il fulmine e il sinistro piegato al gomito a tenere presumibilmente lo scettro.
Tra gli oggetti di ornamento si segnalano le fibule tipo Aucissa così definite dal nome di un fabbricante di origine celtica che ha firmato alcuni esemplari; la loro diffusione è ampia in Cisalpina e nei territori d’Oltralpe tra la fine del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. Ad un orizzonte cronologico diverso riporta l’orecchino con tre cerchi fusi ai quali forse erano fissati pendenti in materiale organico andati perduti. Si tratta di un monile che si ritrova in Italia Settentrionale e in Istria tra la fine del VI e l’VIII secolo d.C. e che imita probabilmente gioielli in oro bizantini.
Per la piccola anfora in peltro con corpo piriforme, che in origine aveva probabilmente anche un’ansa perduta, è presumibile una provenienza orientale e un utilizzo come balsamario, contenitore di unguenti profumati.

La ceramica: il cibo e la mensa

La ceramica: il cibo e la mensa

Nelle abitazioni romane venivano utilizzati molti vasi e recipienti in terracotta destinati alla conservazione delle derrate, alla preparazione dei cibi e alla mensa. In particolare per servire le pietanze a tavola si portava, oltre ai manufatti in vetro e in metallo, il vasellame fine.
La ceramica a vernice nera veniva rivestita da uno strato di argilla molto fine e sottoposta a particolari condizioni di cottura perché assumesse la colorazione nera. Questa classe ceramica ebbe origine nel mondo greco e venne poi prodotta in ambito italico. In età repubblicana rappresentava il servizio da mensa più frequentemente usato dai Romani ed accompagnò l’espansione dei coloni in Italia Settentrionale. I frammenti ritrovati a San Lorenzo appartengono alle forme aperte, ciotole e patere (piatti), più diffuse nel Nord Italia dal II sec. a.C. fino agli inizi del I sec. d.C.

Per soddisfare le richieste di mercato dopo l’espansione romana in Italia Settentrionale la ceramica a vernice nera venne fabbricata localmente. La maggior parte dei manufatti rinvenuti a San Lorenzo è riconducibile alla produzione padana, in alcuni casi al centro di Adria. Un frammento appartiene alla ceramica di Volterra e potrebbe costituire l’indizio di rapporti commerciali con l’Etruria settentrionale.

 

Coppa in terra sigillata prodotta a matrice rinvenuta a Calvatone-Bedriacum (da La sezione romana del Museo di Como).

 
In età augustea, dopo una fase di sperimentazione, il vasellame con vernice rossa (ottenuta con una cottura in ambiente ricco di ossigeno) soppiantò quello a vernice nera. È una tipologia di ceramica, definita terra sigillata, costituita in prevalenza da forme aperte con superficie liscia o con elementi decorativi a rilievo (animali, motivi vegetali, spirali, figure umane) realizzati a matrice.
La produzione centroitalica si distingueva per una qualità elevata e l’aspetto brillante della vernice rossa, mentre i manufatti delle officine norditaliche erano di norma più modesti, con vernice meno lucida e poco resistente.
In Nord Italia si sviluppò una produzione di terra sigillata decorata a matrice che viene definita tipo Sarius dal nome di un artigiano specializzato in coppe emisferiche ornate da motivi vegetali (foglie, fiori, grappoli).

Dalla seconda metà del I sec. d.C. in Gallia si affermarono botteghe di terra sigillata prodotta a matrice che venne esportata in Italia, come testimoniano anche i frammenti rinvenuti a San Lorenzo. Tra il III e il VII sec. d.C. si diffuse in tutto il Mediterraneo seguendo i flussi commerciali delle anfore olearie la cosiddetta terra sigillata chiara C e D prodotta nell’odierna Tunisia.

La ceramica e la pietra ollare: il cibo e la mensa

La ceramica e la pietra ollare: il cibo e la mensa

La ceramica a pareti sottili era caratterizzata da pareti spesse pochi millimetri ed era costituita prevalentemente da recipienti per bere (ollette, bicchieri, tazze). I vasi imitavano i manufatti metallici ed avevano un impasto depurato chiaro o più frequentemente in Valle Padana di colore grigio.
I frammenti rinvenuti a San Lorenzo sono nel complesso di qualità corrente e di produzione locale; si possono datare come negli altri siti dell’Italia Settentrionale dalla fine del I sec. a.C. fino agli inizi del II sec. d.C.

Per le pareti sottili rinvenute a San Lorenzo sono state utilizzate le tecniche decorative della rotellatura, che lasciava sulla superficie del vaso motivi incisi (tratti obliqui o punte di diamante, cioè sequenze di triangoli) e alla barbottine, consistente nell’applicazione di argilla diluita con la quale si eseguivano a rilievo elementi vegetali, geometrici, strigilature.

Vengono definiti bicchieri tipo ACO, dal nome del fondatore di una delle più grandi officine dell’Italia Settentrionale, piccoli recipienti con pareti dallo spessore ridotto realizzati a matrice. Una delle decorazioni più diffuse era costituita da file di triangoli a rilievo (Kommaregen) che ricoprivano tutta la superficie del vaso.
La ceramica comune costituiva l’insieme di vasi e contenitori di uso quotidiano destinati alla cottura, alla conservazione e al trasporto dei cibi; a seconda della destinazione i manufatti potevano avere un impasto depurato o grezzo.

Bicchiere tipo ACO rinvenuto a Bedriacum (da Bedriacum. Ricerche archeologiche a Calvatone).

 
Pur trattandosi di una classe ceramica molto diffusa negli abitati romani in generale era scarsamente considerata nelle raccolte ottocentesche. Nella Collezione Bonatti Nizzoli abbiamo infatti pochi reperti in ceramica comune, tra cui un’olpe (brocca) per contenere e versare liquidi dotata di un’ansa.

Per la cottura dei cibi si utilizzavano anche recipienti in pietra ollare che veniva estratta da giacimenti nelle Alpi centro-occidentali. Nei primi due secoli dell’età imperiale la diffusione di questi tegami rimase limitata al territorio alpino; dalla fine del II secolo d.C. con l’utilizzo del tornio meccanico si verificò un aumento della produzione e l’espansione in Italia Settentrionale.
I dolia erano grandi contenitori in terracotta con imboccatura larga e corpo globulare o sferico destinati alla conservazione di derrate, soprattutto granaglie, o del mosto durante la fase di fermentazione. Per mantenere la temperatura costante potevano essere interrati completamente o fino a metà altezza.

Le anfore: il trasporto delle derrate

Le anfore: il trasporto delle derrate

Nel mondo romano le derrate alimentari (vino, olio, olive, salse di pesce, miele, frutta) erano trasportate a grandi distanze per via marittima e fluviale utilizzando le anfore, grandi contenitori dal corpo capiente e dai manici robusti, con la base a forma di puntale per consentire l’impilamento nelle stive. L’imboccatura stretta veniva chiusa con tappi di sughero o di terracotta sigillati con pece o resina. Le anfore intere e frammentarie ritrovate a San Lorenzo provengono da varie parti della penisola italica e del Mediterraneo e fanno ipotizzare la presenza di uno scalo fluviale per stoccare e smistare i prodotti nel territorio circostante e in altre zone della Pianura Padana.

Le anfore della Collezione Bonatti Nizzoli e quelle rinvenute durante le raccolte di superficie nell’area di San Lorenzo coprono un arco cronologico che spazia dal II sec. a.C. al IV-V sec. d.C. Tra i pezzi più antichi è esposto il frammento con bollo di Antiocus, un produttore attivo forse nel Nord Adriatico che distribuiva le merci in area padana e lungo la costa adriatica.
Le anfore di C. Iuli Poly testimoniano l’arrivo di vino dal Piceno in Italia Settentrionale passando per i porti adriatici lungo le principali vie fluviali. Il bollo THB (iniziali di Titus Helvius Basila) è molto diffuso in Pianura Padana nella seconda metà del I sec. a.C. ed il luogo di produzione è probabilmente da localizzare nell’Alto Adriatico. Il bollo compare in questo caso sulla spalla di un tipo di anfora (Dressel 6 A) adibita prevalentemente al trasporto di vino.
Il frammento con l’indicazione LAEKA proviene dall’Istria, dove nel I sec. d.C. era attivo il console C. Laekanius Bassus, grande produttore di olio e proprietario di una fabbrica di anfore; il bollo AMYC rimanda invece ad Amycus, un dipendente delle officine di Laekanius.
Due delle anfore integre della Collezione Bonatti Nizzoli appartengono al tipo Dressel 7/11 che era utilizzato per il trasporto di diversi tipi di salsa di pesce (garum, liquamen, muria) prodotti nella penisola iberica.

L’Oltrepò mantovano in età romana

L’Oltrepò mantovano in età romana

Nell’Oltrepò mantovano la distribuzione degli insediamenti di età romana dimostra che la presenza di idrovie, che spesso seguivano percorsi differenti da quelli attuali, esercitava una grande attrazione. Particolarmente importante era naturalmente il Po, percorso privilegiato per le merci che dalla costa adriatica penetravano nell’entroterra e viceversa; la sua presenza vivificava una parte della pianura che per il resto rimaneva in posizione periferica rispetto a centri importanti (Brescello, Reggio, Modena, Mantova, Verona). Il fiume tra Guastalla e San Benedetto seguiva un corso meandreggiante più meridionale dell’attuale e che coincideva in gran parte con quello del Po Vecchio. Esso costituiva il confine tra il territorio mantovano a nord e quello emiliano a sud e la zona di Pegognava apparteneva pertanto dal punto di vista amministrativo a Regium Lepidi (Reggio Emilia).
La presenza romana nell’Oltrepò è documentata per un arco cronologico piuttosto ampio, dal II-I sec. a.C. al IV-V sec. d.C. con una particolare concentrazione nel I-II sec. d.C.
L’economia si reggeva prevalentemente sull’attività agricola e sull’allevamento, integrati dallo sfruttamento dei terreni incolti, lasciati a bosco.

Le divisioni agrarie hanno lasciato in questo territorio tracce incerte riconducibili comunque alla centuriazione reggiana. L’alveo del Po era fiancheggiato in età romana da due percorsi di terra che sono confermati anche dai sepolcreti di cui rimane testimonianza nella distribuzione delle epigrafi funerarie (Guastalla, Brusatasso, Casali di Suzzara, San Lorenzo, Nuvolato di Quistello).
Il territorio risulta occupato da una distribuzione di modesti insediamenti rurali; in alcuni casi accanto alla parte produttiva erano presenti anche settori di rappresentanza, come nelle ville rintracciate nel territorio di Pegognaga, a Suzzara e a Gonzaga. Altri siti sono caratterizzati da edifici rustici di modeste dimensioni con funzione artigianale-produttiva. Tale modello insediativo risulta confermato in questa porzione di pianura dalla prevalenza di piccole necropoli prediali, ad eccezione di maggiori concentrazioni di sepolture nelle vicinanze dei centri maggiori.

Il materiale edilizio: intonaci, pavimentazioni, …

Il materiale edilizio: intonaci, pavimentazioni, laterizi

Dall’area di San Lorenzo provengono molti materiali da costruzione appartenenti a edifici costruiti in questo sito in età romana. Si tratta in prevalenza dei laterizi più usati in area padana: mattoni sesquipedali perlopiù manubriati, cioè dotati di un incavo eseguito ad argilla ancora cruda per facilitare il trasporto, mattoni da pozzo, tegole con grandi alette laterali usate insieme ai coppi per la copertura degli edifici, ma anche per la fabbricazione di murature o di tombe. A piani pavimentali fittili appartengono i mattoncini esagonali (esagonette) e quelli rettangolari, disposti a spina di pesce. L’esistenza di ambienti residenziali di un certo livello è testimoniata dai lacerti di mosaico e dai frammenti di intonaco parietale monocromo o con tracce di bordature lineari e motivi vegetali.

Alcuni laterizi esposti in vetrina e nella sala portano bolli con il nome del fabbricante, impronte di animali domestici o di calzature impresse quando il manufatto era ancora fresco o solcature tracciate con le dita sull’argilla cruda, forse come segno indicativo di una fase del processo produttivo. In Pianura Padana sono meno diffusi dei sesquipedali e delle tegole a risvolto i mattoni bessali usati per costruire colonnine di sostegno (suspensurae) per pavimenti ad ipocausto, ma impiegati anche nelle murature. Ancor più inusuali sono le tegole con foro circolare per l’alloggiamento di un comignolo o di un dispositivo per aerazione.
I piccoli lacerti di mosaico, usati certamente in ambienti di un certo pregio, sono solo genericamente attribuibili a pavimenti con bordature e motivi geometrici in nero su fondo bianco diffusi in Italia Settentrionale dalla tarda età repubblicana.
Le esagonette negli edifici più modesti non erano utilizzate solo in ambienti di servizio, ma anche nei vani con funzione residenziale. Le pavimentazioni a lisca di pesce (Opus spicatum) avevano usi diversificati, sia per ambiti chiusi che per spazi scoperti, per cisterne e piani per alloggiare attrezzi di lavoro.

I vetri: la tavola, la toelette, il gioco

I vetri: la tavola, la toelette, il gioco

Una consistente parte della suppellettile domestica nel mondo romano era realizzata in vetro, soprattutto dopo la diffusione della tecnica della soffiatura che rese il processo di fabbricazione rapido ed economico. Coppe, piatti, bicchieri servivano per la mensa, olle e bottiglie per immagazzinare e conservare cibi e bevande.
I numerosi reperti vitrei rinvenuti nell’area di San Lorenzo sono databili dall’età augustea al IV sec. d.C., con una prevalenza del I-II sec. d.C. e sono di fabbricazione norditalica. La presenza di alcuni oggetti di produzione transalpina va attribuita alla presenza del Po, via di transito dei manufatti in vetro renani verso l’Adriatico.
Molti frammenti appartengono al vasellame da mensa e in parte sono riconducibili a contenitori chiusi per alimenti. Alla cura del corpo erano legati i balsamari, piccoli contenitori per unguenti profumati. A San Lorenzo ne sono stati trovati pochi, ma in molti casi in buono stato di conservazione e provenienti perciò probabilmente da un’area di necropoli più che di abitato. Erano realizzati in vetro anche alcuni oggetti di ornamento personale, come bracciali o vaghi di collana, e pedine da gioco diffuse in quantità in tutto l’impero romano.

 

Coppa costolata in vetro giallo (da Gioielli del Museo Archeologico di Padova).

 
È piuttosto massiccia a San Lorenzo la presenza di bottiglie a ventre quadrato monoansate usate sia per il trasporto e la vendita al dettaglio che per l’utilizzo domestico. Spesso sul fondo compaiono cerchi concentrici contemporaneamente decorativi e funzionali, perché favorivano la stabilità del recipiente. Alcune bottiglie recavano come garanzia della genuinità del loro contenuto, che evidentemente non doveva essere un prodotto comune, un bollo a rilievo, come i due fondi di C(aius) Cast(ius) Cerdo di Pegognaga. Talvolta i bolli erano affiancati da motivi figurati, ad esempio palmette stilizzate.
Alcuni frammenti rinvenuti a San Lorenzo sono riferibili a bastoncini con entrambe le estremità a dischetto o con una delle due conformata ad anello. Sono stati interpretati come strumenti per miscelare ed estrarre unguenti o più probabilmente come conocchie destinate per la loro fragilità non alla filatura vera e propria, ma ad un uso puramente simbolico.

L’osso e il corno: piccoli manufatti di uso quotidiano

L’osso e il corno: piccoli manufatti di uso quotidiano

Molti piccoli oggetti di uso personale e quotidiano nell’antichità erano realizzati da artigiani locali in osso e corno, materiali facili da reperire e da lavorare.
Al mondo femminile rimandano sicuramente gli spilloni per capelli (acus crinalis o comatoria) che fermavano e adornavano al tempo stesso le acconciature, che in alcune epoche per le matrone romane erano particolarmente complesse e articolate. Le spatoline erano usate dalle donne per estrarre e mescolare i cosmetici, ma servivano anche in medicina per lavorare e applicare unguenti.
Nelle case romane erano molto diffusi piccoli strumenti di uso quotidiano come gli aghi per cucire o gli stili con cui si scriveva sulle tavolette lignee coperte da uno strato di cera.
I Romani erano degli appassionati giocatori ed amavano intrattenersi nel tempo libero con partite a dadi o vari tipi di giochi da tavolino per i quali si usavano vere e proprie scacchiere, che in alcuni casi erano semplicemente incise su selciati, e pedine simili a quelle della dama.

Busto femminile con esempio di ricca acconciatura (I sec. d.C., Museo Archeologico di Siviglia).

Nella Collezione Bonatti Nizzoli sono conservati anche elementi in osso e corno riferibili all’arredo della casa come i cilindri cavi che avevano probabilmente funzione di rivestimento o cerniera di mobili o scrigni e le placchette di carattere decorativo. Le immanicature decorate con motivi incisi erano utilizzate per manufatti destinati a diversi usi; il manico ornato da fasce a reticolo e cerchielli reca le tracce del fissaggio di una lama per coltello, mentre il frammento con reticolo inciso serviva probabilmente come impugnatura di uno specchio. Un pezzo particolarmente pregevole per la particolarità del soggetto e per l’esecuzione dell’intaglio è l’immanicatura che termina con testa di felino.

La pietra: l’arredo e gli oggetti della quotidianità

La pietra: l’arredo e gli oggetti della quotidianità

I manufatti lapidei rinvenuti nell’area di San Lorenzo pur non essendo particolarmente numerosi rappresentano un’interessante testimonianza dei molteplici utilizzi della pietra nel mondo romano. Il pezzo più importante è sicuramente rappresentato dal capitello esposto in sala che doveva appartenere a un monumento votivo (colonna isolata o sacello).
Dell’arredo domestico facevano parte alcuni frammenti di piccole tavole a disco su sostegno a colonna, utilizzate per reggere vasi o lucerne. Il rinvenimento a Pegognaga di due dischi e una porzione di base di sostegno lascia supporre l’esistenza nel sito di abitazioni di una certa importanza.
In pietra erano anche realizzati alcuni strumenti di uso quotidiano, come le macine, i mortai e i pestelli. I mortai, che potevano essere anche in terracotta, legno o metallo, avevano molteplici funzioni, come la triturazione di materie prime (ad esempio olive e grani), la produzione di salse o la lavorazione di polveri coloranti e officinali.
Le piccole lastrine in pietra (cuticula) venivano usate in campo medico, farmaceutico o cosmetico per pestare colliri, creme e unguenti da applicare al corpo.

Uno dei dischi di piccola tavola o portalucerne rappresenta un interessante caso di reimpiego: come talvolta capita nel mondo antico è stato utilizzato un oggetto in marmo di tipo non precisabile, in questo caso con destinazione sicuramente votiva. Nella porzione di iscrizione rimasta si legge infatti che un tale M(arcus) Cat(ius?) sciolse un voto per grazia ricevuta.
Il frammento di macina rinvenuto a San Lorenzo appartiene al tipo più usato in ambito domestico fino al tardoantico per macinare il grano. Le macine manuali (molae manuales) erano costituite da un base a disco con una faccia convessa (meta) sulla quale veniva appoggiato un elemento di uguale diametro a forma di clessidra (catillus) che veniva fatto ruotare mediante una leva. Le due parti della macina rimanevano centrate grazie a un perno che si inseriva nel foro praticato sulla sommità della meta.

Suppellettile e strumenti quotidiani in terracotta …

Suppellettile e strumenti quotidiani in terracotta: lucerne e pesi

Nell’area di San Lorenzo sono stati rinvenuti numerosi pesi da telaio in terracotta di forma tronco-piramidale che servivano per tendere i fili dell’ordito nei telai verticali, utilizzati almeno fino al II sec. d.C. I pesi da telaio sono molto diffusi in Pianura Padana e testimoniano l’importanza in quest’area della lavorazione del lino e della lana, menzionata anche dalle fonti antiche. La maggior parte dei pesi ha facce lisce, ma in alcuni casi sulla superficie del manufatto compaiono scritte o motivi decorativi a rilievo.

Nella Collezione Bonatti Nizzoli si conservano due pesi con iscrizioni relative a personaggi, Q. Sulpici S[?] f(ilius) e [T(itus) Se]rtorius, menzionati anche in altri pesi rinvenuti nella campagna cremonese-mantovana. I nomi si riferiscono probabilmente al proprietario dell’officina in cui questi manufatti erano prodotti. Gli elementi decorativi raffigurano probabilmente in modo stilizzato i fili tesi dell’ordito del telaio, dietro ai quali talvolta compare la sagoma dell’addetto alla tessitura. L’attività di lavorazione della lana è testimoniata nell’area di San Lorenzo anche dal ritrovamento di fusaiole realizzate in terracotta o pietra ed usate con i fusi durante le operazioni di filatura.

Nel mondo romano erano molto diffuse le lucerne, lampade ad olio realizzate prevalentemente in terracotta, meno frequentemente in bronzo o altri materiali. Venivano utilizzate in gran numero per illuminare le case, ma sono state ritrovate spesso anche nei luoghi pubblici, nei santuari e nei corredi funerari. Le lucerne romane avevano generalmente il serbatoio chiuso nel quale l’olio veniva inserito attraverso un foro posto sul disco superiore; nel becco anteriore si trovava il foro da cui usciva lo stoppino da bruciare.

Nell’area di San Lorenzo sono state rinvenute le tipologie più frequenti in età imperiale romana, prodotte a matrice in grandi quantità per poter soddisfare la continua richiesta del mercato. Particolarmente diffuse per praticità ed economicità erano le lucerne a canale, definite anche Firmalampen, che recavano spesso sul fondo il marchio di fabbrica con il nome del produttore; nella Collezione Bonatti Nizzoli sono documentati i bolli di due delle maggiori officine dell’Italia Settentrionale, Fortis e Communis. Le lucerne a volute, così definite per la presenza di due riccioli ai lati del becco, recavano spesso sul disco elementi figurativi come il guerriero che decora una lucerna rinvenuta a San Lorenzo.

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